L'Istituto

La Psicologia Umanistica Esistenziale

(Articolo tratto da “Rivista delle Psicoterapie”, Università di Roma “La Sapienza”, vol. 2, n. 2, 1997.)

L’indirizzo umanistico esistenziale

Consapevole della sovrabbondanza di scuole psicologiche gia esistenti ho molto esitato prima di fondare un nuovo indirizzo psicoterapeutico. Per molti anni, anzi, ho preferito lavorare nell’ambito di indirizzi gia affermati (almeno all’estero) che sentivo congeniali e creativi. Così oltre quarant’anni fa fondai la scuola di Wilhelm Reich in Italia, vent’anni fa fondai l’Istituto di Bioenergetica, per vari anni fui presidente delle Scuole di Carl Rogers e Alexander Lowen nel nostro paese e tuttora sono Direttore della Società Europea di Psicologia Umanistica.

Negli ultimi Anni ’70, però, le mie esperienze personali e professionali hanno imposto alla mia attenzione l’importanza dell’angoscia di morte nelle dinamica psichica dei singoli e dei gruppi e la sistematica negazione di tale angoscia da parte dei principali indirizzi psicologici esistenti.E’ nata da qui una ricerca psicoantropologica approdata a una nuova teoria esistenziale della cultura e della nevrosi. Durante quella ricerca ho scoperto il pensiero di Otto Rank, che per primo aveva proposto lo sviluppo in chiave esistenziale dell’approccio psicodinamico, ed ho intitolato a lui sia il mio Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, fondato nel 1986, sia la mia opera“Otto Rank, pioniere misconosciuto”(Melusina, 1992).Vediamo dunque le linee essenziali di quella ricerca, pubblicata in volume nel 1984 col titolo“Scimmietta ti amo” (Longanesi) e ripubblicata nel 2002 in edizione ampliata col titolo“Lo Shock Primario” ( RAI-ERI).

La nuova teoria esistenziale della cultura…

In alcune delle sepolture più antiche del paleolitico medio, a volte databili a centomila anni fa, sono state trovate armi da caccia e cibo fossilizzato. I primi documenti di cultura umana nel senso tecnologico del termine sono notoriamente più antichi. Ma se, conforme alla famosa definizione di E.B. Taylor, adottata sostanzialmente dalla maggior parte degli antropologi, consideriamo la cultura umana come “l’insieme delle credenze, dei riti e dei costumi condivisi da un gruppo”, quelle sepolture dell’era neandertaliana possono essere considerate la più antica espressione culturale della nostra specie. Esse ci sono state lasciate da una razza, quella appunto neandertaliana, ancora ricca di tratti scimmieschi, e precedono di oltre 70.000 anni le successive, più antiche tracce di attività culturale umana: le pitture delle caverne di Dordogna.

Per parte mia sono giunto alla conclusione che quelle sepolture costituiscono una valida prova del fatto che la cultura umana è stata fin dai suoi primordi (e resta tutt’oggi) soprattutto una formazione reattivo-difensiva contro un trauma primario della nostra specie che definisco shock esistenziale: l’improvvisa e ricorrente ondata di panico e disperazione scatenata dalla morte nella mente umana, quando questa divenne così tipicamente capace d’intuire il suo destino di morte, d’immaginare e attendere il proprio annientamento, di partecipare così dolorosamente all’angoscia e alla morte dei suoi simili e di ripetere quotidianamente questo tormento nella memoria, nel lutto e nell’anticipazione. L’uomo reagì a questo trauma primario e ricorrente negando la morte, rimuovendone l’angoscia e sviluppando fantasie e profezie di una vita d’oltretomba.Queste fantasie e promesse d’immortalità costituiscono quindi, non a caso, il comune denominatore di tutte le religioni conosciute: dalle più primitive alle più elaborate, dalle più antiche alle contemporanee.

…e della distruttività umana

Ben presto la morte fu percepita dall’uomo come una punizione per una colpa antica – la brama umana di amare e di conoscere – che aveva spinto l’uomo a infrangere il divieto divino di cogliere il frutto dell’Albero della Conoscenza e dell’Amore Carnale: il mito biblico del “Genesi” è solo la più famosa di queste elaborazioni. Se il Paradiso era stato perduto a causa di questa brama, l’Uomo poteva riconquistarlo e ricevere così la felicità e l’immortalità perdute solo reprimendo la libertà d’amare e di conoscere e sottomettendosi alla castità e ai dogmi della gerarchia religiosa.Qui dunque, secondo me, stanno le radici della tragica persecuzione che ha così spesso colpito l’amore sessuale e il pensiero indipendente nella storia della cristianità e di tante altre civiltà. Ma l’interpretazione della morte in termini di colpa e punizione ebbe molti altri rovinosi effetti sui comportamenti dei gruppi umani.

Il divorante bisogno umano di placare il proprio ossessivo senso di colpa e la propria tormentosa angoscia di morte, di propiziarsi le Divinità Offese e di conquistare il passaporto per la Salvezza, la Felicità e l’Immortalità è stato e resta il fattore primario di quella diffusa inclinazione delle masse umane a comportamenti sado-masochisti (rituali espiatori, sacrifici per la Chiesa, lo Stato o il Partito, passiva soggezione all’autorità) che le scienze sociali hanno spesso rilevato e denunciato ma non hanno mai saputo spiegare in modo persuasivo.

L’essere umano, tuttavia, tentò ben presto di liberarsi da questo senso di colpa primario, ricorrente ed intollerabile, anche con modalità più atroci di quelle puramenteespiatorie. Attraverso il ben noto meccanismo della proiezione paranoidea, l’Uomo proiettò la sua colpa su altri uomini: sui miscredenti, sui nemici della vera Fede e della vera Chiesa. Ma poiché ogni gruppo umano aveva il suo Vero Dio da placare e propiziare, questo meccanismo diede luogo ad una conflittualità cronica e universale tra le culture, le società e le chiese che ha insanguinato tutta la storia umana. Sterminare, sottomettere o convertire i miscredenti, percepiti come agenti del Demonio in lotta contro il Vero Dio e la Vera Fede, non fu più un optional ma un tassativo dovere morale per il fanatico delle varie religioni dogmatiche. E qui va cercata la prima radice del terrorismo religioso che ancor oggi ci delizia e che solo un pensiero politico e strategico antiquato e pre-psicologico può considerare debellabile con la minaccia o la forza militare: per i fanatici, infatti, la minaccia o l’azione militare non ha alcun potere deterrente né repressivo ma, al contrario, li moltiplica e li esalta (come l’infinita guerriglia afgana e irakena dimostrano) per il semplice motivo che la morte in battaglia è per loro il viatico più sicuro per guadagnarsi nel Paradiso dei Martiri la Vita Eterna, allietata dalle dolci attenzioni di 72 vergini allupate.

Due vistosi e finora inesplicati fenomeni della nostra specie – il suo diffuso masochismo e la sua tremenda aggressività intraspecifica – possono dunque essere finalmente spiegati, alla luce di quest’analisi, come inevitabili sottoprodotti della elaborazione espiatoria e persecutoria dell’angoscia di morte nella psiche umana. E parimenti l’annosa, inconcludente diatriba tra innatisti e storicisti sulla distruttività umana e sulle origini della guerra può trovare qui una nuova soluzione: questa tragica distruttività, che ha prodotto tante stragi e sofferenze attraverso i millenni non è ne innata ne socialmente indotta, ma è essenzialmente un effetto della reazione psichica dell’essere umano alla sua angoscia di morte e alla sua drammatica condizione esistenziale.

Comunque, per alto che ne fosse stato il prezzo di sangue e di dolore, questa difesa religiosa, con le sue splendide promesse paradisiache ai seguaci della Vera Fede aveva efficacemente protetto l’essere umano dalle sue angosce di morte per migliaia di anni. Verso la fine del XIV secolo, tuttavia, questa barriera millenaria contro l’angoscia esistenziale cominciò a franare, per fattori sia interni che esterni. Il massimo fattore interno e soggettivo di erosione della difesa religiosa fu la paura della dannazione, terroristicamente diffusa dai predicatori degli Ordini mendicanti, e la conseguente micidiale “escalation” di prescrizioni espiatorie e punitive. Poco a poco il terrore della dannazione eterna finì per superare quello della morte. In altre parole, la difesa religiosa eretta dalla psiche umana per esorcizzare l’angoscia della morte finì per scatenare più angoscia della morte stessa, cosicché la prospettiva del proprio totale annientamento cominciò a sembrare preferibile ad un destino di eterna tortura nell’aldilà.

I fattori esterni che scossero le credenze religiose scaturirono dalla diffusione del pensiero razionale e scientifico durante e dopo il Rinascimento. Questa progressiva erosione continuò durante i secoli XVI, XVII e XVIII finché, coll’Illuminismo, le certezze religiose furono apertamente attaccate e corrose.

Tuttavia il meccanismo psicologico che era stato alla loro base – cioè la rimozione della morte e l’elaborazione dell’angoscia di morte e dei relativi sensi di colpa in termini di passività gregaria e servile e di deliri paranoidei, di Millenni paradisiaci e di Guerra Sante per realizzarli – quel meccanismo psicologico, insomma, che aveva prodotto il fanatismo religioso in tutta la storia umana, cominciò a produrre nuovo gregarismo masochista e nuova distruttività sadica e paranoidea sotto forma di nuovi movimenti fanatici: appunto i totalitarismi politici del ‘900, sia fascisti che comunisti, che significativamente si sono sviluppati in parallelo con l’estesa laicizzazione delle culture europee. In altre regioni, come ad esempio nel mondo islamico, il fanatismo religioso si è, invece, direttamente politicizzato dando luogo a movimenti e regimi teocratici sempre più aggressivi e sanguinari. A mio parere, due grandi enigmi della storia e della cultura contemporanea – e cioè il denominatore comune di angoscia e distruttività di quasi tutte le avanguardie artistiche del ‘900 e il forte fascino esercitato dall’estremismo di destra e di sinistra su tanti intellettuali del nostro tempo – possono essere agevolmente spiegati se si tiene presente che gli intellettuali in quanto tali (cioè in quanto persone più colte della media) furono il primo gruppo sociale investito dal crollo delle certezze e delle difese religiose contro l’angoscia della morte.