Le implicazioni cliniche
E’ evidente che questo riconoscimento dell’angoscia di morte quale fattore centrale della sofferenza e conflittualità psichica umana comporta un vero e proprio terremoto non solo, come si è visto, nella interpretazione della storia e delle sue conflittualità sociali, ma anche nella concezione delle psicopatologie individuali. Esso comporta, insomma, una nuova teoria della nevrosi e della psicosi che può essere qui, per ovvi motivi di spazi, solo accennata.
Anzitutto, in questa nuova ottica esistenziale l’angoscia di morte appare come l’emozione prioritaria dell’essere umano in quanto tale (cioè in quanto essere cosciente ) e come l’humus basilare dei suoi disturbi psichici.
In quest’ottica, quindi, l’angoscia non è più né prevalentemente, come in Freud o in Reich, il risultato della repressione degli impulsi sessuali naturali, o, come in Adler o nella Klein, il prodotto d’una aggressività male integrata nello sviluppo individuale, ma è anche, e soprattutto, una carica emozionale originaria e continuamente rinnovata della psiche infantile e adulta che concorre ad alimentare le varie forme di nevrosi e psicosi.
Una volta che il problema della psicopatologia sia stato così inquadrato, non sarà più tanto sorprendente, né comporterà la ricerca di bizzarre interpretazioni, il fatto che, per esempio, nel disturbo d’ansia e nei relativiattacchi di panico il sintomo principe sia, a livello psichico, appunto la paura di morire o svenire o sentirsi male. Inoltre è logico che l’angoscia di morte, sormontando le difese, produca i sintomi tipici di ogni angoscia (senso di malore, sudorazione, svenimento, tachicardia, affanno di respiro, tremore agli arti, oscuramento della vista, ecc. ), e che questi sintomi a loro volta accentuino e rafforzino l’angoscia di morte, in un circolo vizioso, in un rimbalzo continuo tra corpo e coscienza che è tipico ed esclusivo dell’organismo umano in quanto organismo cosciente del suo morire.
Analogamente, la paralisi delle nevrosi isteriche potrà essere vista sia come espressione diretta dell’angoscia di morte (notoriamente, l’angoscia può avere effetti paralizzanti, da cui l’espressione “paralizzato dal terrore” ) sia come difesa arcaica contro la morte ( molti animali reagiscono alle situazioni di estremo pericolo appunto paralizzandosi e “fingendosi morti” ).
E la cecità isterica potrà essere interpretata come espressione del bisogno di “non vedere” una realtà percepita come troppo minacciosa per la propria esistenza e per la propria vita affettiva.
Quanto alle sindromi depressive, l’angoscia di morte è di solito, in esse, talmente conclamata (oltre che associata al terrore ipocondriaco di avere contratto una grave malattia) da non esigere alcun commento.
In altri casi di depressione, la dichiarata indifferenza o gli impulsi suicidari sembrano esprimere, rispettivamente, il senso della totale inutililità delle vita ( in quanto destinata all’annientamento) oppure il tentativo di “vincere la morte” anticipandola di propria volontà: “Nessuno – scrive il poeta metafisico inglese John Donne nelle sue riflessioni cinquecentesche sulla morte – potrà mai togliermi la libertà che ho nel mio pugnale”.
Nelle disfunzioni orgasmiche dei disturbi psicosessuali potremo scoprire sia il blocco ansioso d’una funzione percepita come debilitante e, quindi, rischiosa ( notoriamente l’orgasmo produce un certo sfinimento), sia un terrore della perdita di coscienza connessa all’orgasmo e percepita appunto come morte o rischio di morte (non a caso i francesi chiamano l’orgasmo la petite mort).
In campo sessuale, la mia analisi esistenziale arriva insomma a conclusioni opposte a quelle dell’approccio freudiano e reichiano: essa sostiene cioè che non è l’angoscia dell’orgasmo a scatenare l’angoscia della morte (come sostenevano Freud e Reich) ma l’angoscia della morte a scatenare l’angoscia dell’orgasmo.
Rivisitate in chiave esistenziale, le nevrosi compulsive o coatte sembrano esprimere la difesa dall’angoscia di morte mediante un sistema di rituali espiatori e propiziatori che già abbiamo visto all’opera anche in campo religioso e sociale. Una conferma di questa interpretazione è data, a mio parere, dal timore di una non meglio definita “catastrofe” che si scatena in questi nevrotici quando non possono eseguire i loro rituali.
Nelle nevrosi fobiche, la difesa dall’angoscia di morte sembra esprimersi attraverso una “fissazione” dell’angoscia su situazioni ben precise che possono essere evitate con più o meno grandi difficoltà (luoghi chiusi o aperti, ascensori, autobus, aerei). L’angoscia primaria viene, così, più o meno efficacemente recintata.
L’accumulo dell’angoscia primaria, tuttavia, porta ad una escalation dei rituali preventivi nelle nevrosi ossessive e delle manovre di evitamento nelle fobie: una escalation che rende sempre più penosa l’esistenza di questi pazienti.
Nelle psicosi, mentre riconosce la forte influenza dei fattori genetici e neuro-chimici, l’approccio esistenziale schiude nuove possibilità di analisi e di comprensione. Nelle psicosi maniaco-depressive, ad esempio, si può scorgere una quasi emblematica oscillazione della stessa persona fra stati di angoscia acuta e stati di euforia, mitomania e megalomania che però, proprio in quanto alternati e collegati agli stati depressivi e angosciosi, svelano il loro carattere reattivo-difensivo in rapporto all’angoscia. Questa oscillazione tra il senso di onnipotenza e la depressione sembra ripetere in forma caricaturale il passaggio dello sviluppo psichico dall’illusione infantile di onnipotenza ( connessa anche ad una consapevolezza e angoscia della morte ancora saltuarie ) alla posizione depressiva di una coscienza adulta non solo consapevole ma dominata dall’angoscia di morte. All’angoscia allagante della fase depressiva, il paziente reagisce con una regressione alla fase di onnipotenza che, tuttavia, poi ripete in forma caricaturale la caduta nella posizione depressiva.
In altre forme depressive, questo “va e vieni” della psiche cessa e la difesa depressiva si stabilizza.
Nelle schizofrenie, ferma restando la loro connessione a fattori genetici e neurochimici, sembra che l’angoscia primaria porti in esse ad una fuga più o meno totale dalla realtà, ad una frammentazione del pensiero, a deliri di grandezza o ad una chiusura che può sfociare nell’autismo e nellacatatonia.
Questo totale distacco dalla realtà e questo più o meno totale ritorno al narcisismo primario assicurano comunque al paziente un’ottima anestesia rispetto all’angoscia di morte, di cui gli schizofrenici non mostrano di soffrire affatto.
La schizofrenia paranoide sembra ripetere in forma personalizzata il processo di elaborazione reattivo-difensiva ed esternalizzata dell’angoscia di morte che, come abbiamo visto, è prevalso nelle forme culturalmente strutturate di difesa dall’angoscia di morte, magia, religione, politica, e così via.
In questa elaborazione l’angoscia di morte si trasforma in una minaccia concreta proveniente dall’esterno (sottoforma di delirio di persecuzione) o in una articolata difesa contro di essa (sottoforma di delirio di onnipotenza).
Col primo tipo di delirio il soggetto ottiene di “fissare” l’angoscia primaria, generalizzata e allagante, su singole figure percepite come minacciose ( ed eliminabili, in caso estremo, con azioni cruente). Col secondo tipo di delirio il soggetto si crea, identificandosi con Dio o con altre figure grandiose e potenti, un senso d’invulnerabilità rispetto all’angoscia di morte e alla sua minaccia.